“Troppi figli da sfamare? Ma buttali nel lago”. Intervista immaginaria a Bartolomeo Caraccio, detto Burtul di Jusep, nato nel 1909

Signor Bartolomeo, cosa si ricorda della Prima Guerra Mondiale?

La carestia. Anche se non fu così forte come nella seconda guerra mondiale.  Anche allora c’era la ”tessera “, ma nessuno era mai arrivato in paese a controllare la produzione agricola, come è stato fatto nella seconda.

Questo mi ricordo, la carestia.

Che cos’ è stata per lei la carestia?

Ogni famiglia doveva consegnare un  capo di bestiame (i vacc a l’ ammas) perché il governo doveva reperire la carne per i soldati. La destinazione , però, era dubbia. Si diceva che vendevano il bestiame e che lo facevano passare in Svizzera.  A volte anzichè portare il capo assegnato, riuscivano ad imbrogliare quegli esattori consegnando loro il bestiame meno pregiato della stalla. Qualcuno portò un vitello anziché una vacca da latte spiegando che questa serviva per dar da mangiare ai figli .

La situazione era allora praticamente grave per tutti allora. Sia al fronte che a casa, con la scarsità di cibo…

 A chi aveva figli da sfamare gli fu detto di buttare i figli nel lago.

La scuola funzionava durante la guerra?

 La scuola era solo fino alla terza elementare allora. Di mattina la seconda e la terza, di pomeriggio la prima. Le lezioni iniziavano al suono delle campane, che era il segnale per ogni evento. Alle pareti dell’ aula scolastica era appesa solo la lavagna. Per scrivere si usava la matita e poi in, seguito, si userà il pennino. Il primo quaderno veniva acquistato dalla scuola, e quelli che non venivano completati, al termine dell’ anno scolastico si passava al fratello minore.

C’era la cartella?

La cartella era fatta con un pezzo di stoffa recuperata da vestiti stracciati, al quale si attaccava un pezzo di corda per portarla a tracolla.

Si poteva proseguire gli studi dopo la terza elementare?

Chi voleva proseguire gli studi oltre la terza elementare doveva recarsi a Domaso.

E i giorni di vacanza?

 Nei giorni di vacanza tutti i bambini andavano a lavorare: portare letame, fare legna, accudire le bestie anche all’alpeggio. La scuola non era ritenuta importante, quindi la frequenza non era continua. Le calzature che si portavano ai piedi, sia d’ estate che d’ inverno, erano gli zoccoli di legno fatti a mano.

(Adattamento da Come le vacche sull’Alpe di Gigiai. Lettere al parroco di Montemezzo dalle trincee della Grande Guerra, Istituto di storia Contemporanea, Como 1997)

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